Incrociare in diagonale e salire verso l'alto

domenica 7 marzo 2010

davanti alla porta della legge

caro quadro,

ti scrivo per due motivi.
non sento da un po' i miei compagni di pensieri.
non riesco più a entrare dentro di te.

non ti scrivo da qualche tempo, ma la vita prevale.
ho iniziato ultimamente un'attesa tutta nuova che mette da un'altra parte quella che prima si presentava come il tutto della vita. anche le idee, le passioni, le cose belle o meno da fare curvano e capisco meglio il significato della quarta dimensione: il nesso tra tempo e singolarità ti avvolge come il telomare scaldato dall'ultimo sole quando vieni su dall'ultima bracciata. tutta la giusta enfasi sul farla finita con l'identità e il soggetto che non sono mai esistiti e sono invenzioni recenti trovano una sensualissima triangolazione nel fatto che da te e da chi ami nasce un'altra vita.

e poi non riesco più a entrare dentro di te quadro. la cosa più che indispormi, so che le cose fra noi torneranno a filare lisce, più fa riflettere.
basta una minima disaffezione e subito l'operatività logica del tuo essere pone diaframmi fra noi. cambi di forma, ti aggiorni, muta la parola d'ordine che mi lascia passare da te, vorresti per questo aggiornarmi secondo i tuoi nuovi criteri, le tue nuove esigenze di utilizzabilità, rendendomi continuamente alla mano e malleabile, un corpo docile per la tua disciplina della connessione.
ecco quello che mi fa riflettere è questa operatività coatta che da te sembra spandersi in tutta la nostra socialità di questi tempi. sono pochi i silenzi nelle relazioni oggi, e non nel senso debolissimo del recupero di spazi di meditazione e di sospensione dalla ferocia della vita moderna, quella evocata dalla pubblicità del cinar fatta da elio e te storie tese. non quel silenzio munto da chi sfrutta l'arte, la letteratura e il cinema per far sentire alle persone che possono salvarsi: promesse e moralismo travestito di un cattolicesimo da tramonto della cultura, spengleriano e quindi potenzialmente un po' nazi.
toccare invece il cuore messo a nudo del reale e del nostro gioco di verità, la sua pulsazione, questo è il lavoro duro che ha spezzato la schiena a gente come philip roth; lo stare a distanza per caricare i legami di un'attesa, di un'intensità fatta proprio di piccole assenze, di sotrazioni al volere, alla manipolazione dell'altro, anche quando l'altro è una frase che non viene, come qualcuno o qualcosa che non arriva, ancora e ancora.
tutto quello che tende l'arco dell'amore, del rispetto, dell'affetto, del timore, della giustizia, della passione. la sconnessione delle intermittenze del cuore che dilata all'infinito in proust il venir a capo della storia, del periodo, dei personaggi, dei gesti, per lasciarci l'opportunità di divenir altro.
quadro, come è stato denso questo silenzio fra me e te nell'ultimo periodo, pensaci.