Incrociare in diagonale e salire verso l'alto

lunedì 3 maggio 2010

santo licheri

l'altro giorno in treno, tornando da mela, mi è caduto l'occhio sul giornale, dico proprio il quotidiano di Mr B. In prima pagina svettava un coccodrillo su santi licheri (tralascio il fatto che il suo nome mi venga da storpiarlo in sante (quasi con il th) licheri riferendosi all'amena località marittima ligure o da cantarlo à la de gregori, uno dei tre coglierà subito l'e-citazione).
Di colpo ho realizzato come, di fatto, sia stato proprio Mr B. a creare (in maniera sorgiva) una sorta di mito dello spettacolo della giustizia, da lui oggi tanto avversata. Solo che in quel caso, e solo in quello, vi era (oltre a degli attori) una sorta di rispetto: quando il giudice usciva per deliberare e poi tornava per dirimere una volta per tutte le questioni. La legge era oracolo e oro-colato. certo, seguiva il dibattito, per cui c'era sempre chi non era d'accordo, ma la lex era rex. curioso. a volte sembra quasi di vivere nel suo sogno. per davvero.

domenica 7 marzo 2010

davanti alla porta della legge

caro quadro,

ti scrivo per due motivi.
non sento da un po' i miei compagni di pensieri.
non riesco più a entrare dentro di te.

non ti scrivo da qualche tempo, ma la vita prevale.
ho iniziato ultimamente un'attesa tutta nuova che mette da un'altra parte quella che prima si presentava come il tutto della vita. anche le idee, le passioni, le cose belle o meno da fare curvano e capisco meglio il significato della quarta dimensione: il nesso tra tempo e singolarità ti avvolge come il telomare scaldato dall'ultimo sole quando vieni su dall'ultima bracciata. tutta la giusta enfasi sul farla finita con l'identità e il soggetto che non sono mai esistiti e sono invenzioni recenti trovano una sensualissima triangolazione nel fatto che da te e da chi ami nasce un'altra vita.

e poi non riesco più a entrare dentro di te quadro. la cosa più che indispormi, so che le cose fra noi torneranno a filare lisce, più fa riflettere.
basta una minima disaffezione e subito l'operatività logica del tuo essere pone diaframmi fra noi. cambi di forma, ti aggiorni, muta la parola d'ordine che mi lascia passare da te, vorresti per questo aggiornarmi secondo i tuoi nuovi criteri, le tue nuove esigenze di utilizzabilità, rendendomi continuamente alla mano e malleabile, un corpo docile per la tua disciplina della connessione.
ecco quello che mi fa riflettere è questa operatività coatta che da te sembra spandersi in tutta la nostra socialità di questi tempi. sono pochi i silenzi nelle relazioni oggi, e non nel senso debolissimo del recupero di spazi di meditazione e di sospensione dalla ferocia della vita moderna, quella evocata dalla pubblicità del cinar fatta da elio e te storie tese. non quel silenzio munto da chi sfrutta l'arte, la letteratura e il cinema per far sentire alle persone che possono salvarsi: promesse e moralismo travestito di un cattolicesimo da tramonto della cultura, spengleriano e quindi potenzialmente un po' nazi.
toccare invece il cuore messo a nudo del reale e del nostro gioco di verità, la sua pulsazione, questo è il lavoro duro che ha spezzato la schiena a gente come philip roth; lo stare a distanza per caricare i legami di un'attesa, di un'intensità fatta proprio di piccole assenze, di sotrazioni al volere, alla manipolazione dell'altro, anche quando l'altro è una frase che non viene, come qualcuno o qualcosa che non arriva, ancora e ancora.
tutto quello che tende l'arco dell'amore, del rispetto, dell'affetto, del timore, della giustizia, della passione. la sconnessione delle intermittenze del cuore che dilata all'infinito in proust il venir a capo della storia, del periodo, dei personaggi, dei gesti, per lasciarci l'opportunità di divenir altro.
quadro, come è stato denso questo silenzio fra me e te nell'ultimo periodo, pensaci.

 

mercoledì 10 febbraio 2010

la zia

Ok, questo ha veramente il gusto della bassa aneddottica, ma ho capito dove prende le idee Palhaniuk:
(Leggete e cancellate...)

Nel 1985 un ragazzo americano, per alleviare un forte sentimento di depressione decise di mettersi un petardo nel culo. Fece un tubo di carta lungo sei pollici e se lo infilò nell'ano. Prese un petardo con la miccia lunga, l'accese e lo lasciò scivolare nel retto. Dove esplose.
Cambiò subito umore, dissero i medici che lo ricoverarono.

Un altro ragazzo, 26 anni, nel 1997, in preda a un'insostenibile curiosità, si procurò una pistola per la colla e si sparò nell'ano un buon quantitativo di colla calda per l'edilizia. Sembrava non avere alcun sintomo a parte una leggera tensione all'addome.
Divenne un caso interessantissimo per i medici che dovettero sciogliere la massa resinosa che si trovava nel retto.

sarà

l'ho letto. lo giuro. e non era il taglio basso del corriere. è una di quelle storie che a inventarla non ci si riesce. quanto si dice che la realtà supera di gran lunga la fantasia. sara, questo il nome della sventurata, è una americana che è stata violentata su commissione (del suo ex, ex marine) da un tale il quale ovviamente si è professato innocente. e forse, in qualche senso, lo è anche. sentite come sono andati i fatti: lei molla lui, lui (l'ex parà) per vendicarsi posta un annuncio a suo (di lei) nome di sesso estremo nel quale ricerca di esaudire il suo sogno erotico per eccellenza: essere stuprata (consenziente, però) da uno sconosciuto a casa sua, dopo essere stata legata.
un altro lui abbocca, scambia con lei (cioè lui, cioè l'ecs) una serie di mail molto dettagliate: dove vivo, dove tengo le chiavi di casa, come è fatta la casa, a che ora mi trovi, etc etc. tutti dati, ovviamente, stra-noti al suo ex. ed ecco che la sua (di lui, questa volta) fantasia si realizza. Il secondo va e fa quello che deve. E più lei gli chiede pietà, tanto più lui sta al suo (in questo nel doppio senso, di lei, e del primo lui, e forse anche del secondo) gioco. quando lo hanno arrestato, perché non è stato molto difficile risolvere il caso, lui, lo stupratore, si è professato innocente. lui non ne sapeva nulla. e il fatto che lei dicesse di no, faceva parte del suo disegno. avesse saputo. sarà.

martedì 9 febbraio 2010

saluto ai supersonici

oggi più veloci del suono
dopodomani della luce
muteremo il suono in tartaruga
e la luce in lepre
di antica parabola onorati animali
nobile coppia in gara
da sempre
correvate, correvano
per questa bassa terra

provate a gareggiare in alto nel cielo
via libera
non vi saremo d'intralcio nella corsa:

per seguire noi stessi
primi ci alzeremo in volo


ps: non è mia. mi piacerebbe potermi vantare. ma no. non è mia. l'ho trovata fresca di inchiostro alla stampante del reparto creativo. me ne sono appropriato, dicendo: non può, non può, averlo scritto un copy, questa meraviglia. ho scoperto poi che è del premio nobel 1996 polacco, tal W. Szymborska. di cui, lo ammetto, non immaginavo nemmeno l'esistenza. se la cercate su google la potrete anche ammirare in tutta la sua bellezza. annata 1923. http://en.wikipedia.org/wiki/Wis%C5%82awa_Szymborska

venerdì 5 febbraio 2010

L'anno dell'uragano - ed. Fanucci - economica

Una delle fucilate più dure e più secche di Joe Lansdale
comincia così:


18.30

In un pomeriggio più caldo di due ratti che trombano in un calzino di lana, John McBride, uno e ottantacinque abbondanti, quasi cento chili, le manone come prosciutti, un fisico da cinghiale selvatico e un carattere dello stesso genere, arrivò all'isola di Galveston col traghetto che veniva dalla costa del Texas; aveva una sei colpi sotto il soprabito e un rasoio in una scarpa.



(poco più di cento pagine scritte come una furia.
se avete mezzo pomeriggio libero, merita la cavalcata.)

martedì 2 febbraio 2010

this-ordine

andiamo con disordine.

lo scrivo sin da subito perché a differenza delle altre volte, poche, non so (bene) che cosa scriverò.

inizio però col dire una cosa che mi è invece assai chiara. ed è che la logica analitica che vedo qui ai suoi esordi, ha l'effetto di respingermi al mittente. in quanto tale.

mi spiego meglio: io non credo di avere qualcosa di intelligente da dire. questo, in assoluto. e non lo scrivo per sentirmi dire il contrario o per sentirmi accusare di pensare il contrario. con tutta l'umiltà di cui posso essere portatore, dico semplicemnte che non credo di avere (da scrivere) delle verità in merito a nulla. tantomeno sulla rete o sui blog o. non intendo scrivere affinché qualcuno, grazie e attraverso di me e di noi, si formi. in termini tecnici, culturali, pedagogici. un po' per l'assenza di idee, un po' (tanto) per la totale mancanza di conoscenze e letture relative, un po' perché non ho mai creduto che questo blog nascesse per questo. e anche questo iniziare a disquisire che cosa è e soprattutto cosa non è questo blog mi fa tanto blog decadente. proprio quelli che tu, come noi, non ami.

attenzione però: il fatto che io non creda di avere qualcosa di intelligente, in senso stretto, da dire, non significa che io non creda al contrario di avere e di voler scrivere di qualcosa. e di volervelo dire. perché siamo amici. quello, sì mi ispira. come dice keith richards: ci sono di sicuro chitarristi più bravi di me, più veloci, più tecnici, quello che volete. ma nessuno, nessuno suona come me.
io sono io non è la scusa che mi permette di dire tutto quello che voglio, ma io sono io, in una relazione, la nostra, mi lascia libero, mi fa sentire libero di esprimermi.
ecco, nell'espressione, e nella sua libertà, invece, trovo qualcosa che mi attrae.

questo da un lato. perché, dall'altro, il ricorso e la necessità all'esplorazione verbale e condivisa della mia propria espressione, mi spinge ad appassionarmi alla vostra. seguire quello che voi notate, seguire quello che voi pensate, quello che vi anima, quello che vi ispira è per me già qualcosa per cui valga la pena. quindi lo spazio è libero. non è guidato. è espressivo, non necessariamente saggistico. è bello anche se scriviamo di nulla. di un nulla però che vogliamo che e uno e l'altro, in primis, sappiano. perché è il nostro desiderio. la logica è quella del regalo, del dono, dello scambio, e quindi anche dell'errore.

in altri termini, diciamo che se avevo un'aspettativa, era quella di un blog splendente. di spunti, di contatti, di idee, di relazioni. assolutamente e privatamente nostre. sì, un blog capace di rischiarare le nostre giornate, ravvivare le nostre amicizie, scaldare dita e minuti rispettivamente nello scrivere piuttosto che nel leggere. mi sembrava già qualcosa. e tanto.
anche con delle idee. certo. ci mancherebbe.

ci scrivi che tu non hai mai letto nulla che ti abbia cambiato la vita (culturale, o meglio, professionale, forse perché in te le due cose, più che in noi, tendono a coincidere. ed è un fatto legato al mestiere che fai. e non aggiungo qui un bell'emoticon con la faccina che sorride, perché lo scrivo solo con l'intento di (far) notare un aspetto cui, non avevo mai pensato). può essere. probabilmente è così.
ma io nella cartoleria dove non ho mai messo piede ci sono stato ora.
e di quel film che non ho mai visto ho voglia e così via.

così come, magari, però, qualcun altro, leggendoci, si farà un'altra idea su qualunque argomomento. magari non ne saprà di più in senso alto, ma, ed è un augurio enorme quello che sto per scrivere, della vita. tutt'al più la nostra.

trovo piuttosto che il blog ci costringa a una scrittura saporita ma assolutamente puntuale. quindi diversa, ponderata, espressiva, colorata. la chiarezza espositiva, quella sì, ci è imposta. e a volte, lo confesso, nel leggere mi perdo. e non mi piace. perché magari è proprio in quello spazio che c'era qualcosa da capire. di tuo. di mio. di nostro.

tutta la conoscenza dal mio punto di vista ha una componente fortemente privata e personale. ed è quella che vorrei venisse fuori. anziché porre domande, scriviamo idee. (una cosa comporta anche l'altra, beninteso, ma vorrei prima un pensiero e poi una domanda e non una domanda che presuppone di essere un pensiero) se sono quelle che in quel momento di ti sgorgano. scriviamo (di) emozioni, se sono quelle che vorremmo condividere. scriviamo (di) aneddoti se magari, parlo per me, è l'unica cosa (preferita) che credo di saper scrivere. È questo scrivere, la sua singolare (in tutti i due sensi) necessità, ad essere, e tagli di scrittura, per ora, così credevo di aver capito, il senso di questo blog. anche perché così ci è stato presentato e venduto (mi scuso per il verbo). voglio dire: non mi sento in grado di dar vita a un blog altro quando non so nemmeno se sono in grado di scrivere un blog qualunque. non so a chi cambierà la vita quello che scrivo, ma spero che chi lo leggerà avrà qualcosa dal suo tempo speso su queste lettere. fosse anche un, ma tu guarda. o: magari me lo vado a vedere anch'io.



ps: un piccolo inciso: quello che trovo che davvero si perda è il fatto che i commenti a quello che scriviamo non compaiano, se non andando a rovistare. quello è un peccato. perché è lì che si situa la possibilità di uno scambio che si palesa per il significato che può avere.

lunedì 1 febbraio 2010

O decadenza assolta?

1.
La scrittura in rete vive di realtà diverse. Quella che va per la maggiore è quella che aderisce al solco della comunicazione giornalistica, prima nella striscia, poi nella news e a seguire nell'articolo di qualsiasi cronaca. Il successo web di questo tipo di comunicazione si spiega con il tipo di fruizione che l'utente medio ha della rete: improvvisa, occasionale, frammentata, intrattenente. A consumazione rapida. Questo perchè il web - spinto dagli interessi dei grossi imperi editoriali e da realtà più periferiche che tuttavia aspirano al medesimo status di centralità - si è via via configurato sul modello ibrido televisone-supermarket addizionato dalla personalizzazione del on-demand.
Avrebbe potuto essere: ottengo ciò che voglio. Mentre si sta stabilizzando come: ottengo ciò che mi si offre.
Non dimentichiamo che mentre il primo pubblico del web era un pubblico di nicchia - culturalmente di nicchia - adesso è un pubblico massivo e soprattutto migrante dalla televisione.
La blogosfera - che per una piccola parte è davvero l'espressione di autori informati e attenti - per gran parte è l'estensione del dominio dei social network, un luogo di piccole, minute rivendicazioni strettamente personali. Il nuovo dominio di estensione della lotta.

Poi ci sarebbero da fare anche considerazioni prettamente tecniche legate alla natura del mezzo.
Non si legge una pagina video come si legge una pagina cartacea. Proprio non ce la si fa (nessuno che io conosca ha mai letto un libro di 300 pagine a video). Non ancora, quanto meno.
Tuttavia ho avuto in mano un Kindle di Amazon (che tra parentesi sta andando molto bene. il Kindle, e vende migliaia di ebook) e devo dire che la qualità della lettura è veramente del tutto simile alla carta, con in più la possibilità di portarsi in giro qualche centinaio di libri in un foglio grande quanto una grossa moleskine. Ecco, se la stessa tecnologia - l'inchiostro elettronico - dovesse essere usata su larga scala, web compreso, cambierebbe qualcosa? Non lo so, ma quando si considera uno strumento tecnologico occorre valutare sempre i limiti intrinsici del mezzo e di come questi influenzino la sua natura. Voglio dire, quando riflettiamo sui contenuti del web e sull'esperienza che innescano, dobbiamo anche riflettere sul modo in cui il web - materialmente - oggi ci viene offerto e sui cambiamenti - rapidi - a cui può andare incontro.
I libri sono uno strumento stabilizzato. Il web è ancora molto mobile, e suscettibile di cambiamenti che possono mutarne la sostanza.
Chiaro, non è questo il punto definitivo del discorso, ma è un punto che occorre aver ben presente. Soprattutto è un punto su cui molti che si occupano di indagare l'esperienza della rete tengono in nessun conto.

2.
Lo scrittore letterario si misura costantemente con il Tempo.
Il tempo lungo della scrittura, il tempo lungo dell'editing, il tempo lungo della pubblicazione, il tempo lungo della lettura.
Dopo tutto questo tempo, la seduzione dello scrittore letterario non porta quasi mai a un coito. Al più sfocia in un matrimonio bianco.

L'autore on line si misura con l'istantaneità (la Presentificazione): la seduzione deve essere veloce, furba, scattante, incursiva. Il coito (nella forma di commento e di contatto numerico) è il risultato perseguito e atteso.
Il tempo della scrittura spesso si parifica a quello della lettura, in rete.
In questo l'autore on line, istantaneo ed esposto, si rende sempre più simile all'attore, e il suo gesto si avvicina sempre più alla performance.
Mi sento di dire che "l'erotizzazione nella scrittura in rete" sia in gran parte di stampo pubblicitario, per immediatezza e allusioni. Ma al contrario della pubblicità - che ricorre anche a matrici emozionali - la seduzione della scrittura on line è puramente intellettuale, ammiccante, ironica, barzellettiera.

In generale, chiaro.
Sono io il primo a dire di aver letto, in rete, la produzione di alcuni poeti altrimenti introvabili.
Il saggio sul NIE è stato pubblicato - gratis - online dai signori WuMing sull'omonimo sito, e solo grazie alle tante letture on line se n'è fatta una versione cartacea - a pagamento.
E di esempi ne posso fare altri e numerosi.
Ecco, forse allora mi sbaglio di grosso, nel senso che quando parliamo di Web a cosa ci riferiamo? Esiste il mainstream sul web?
Oppure semplicemente quelli che prima leggevano adesso vanno a cercarsi i siti dove trovano testi densi e corposi, e quelli che prima non leggevano adesso cliccano sugli articolini di pseudo giornalismo?
E se è così, non è forse sempre stato così?

(Io penso che il web avrebbe potuto essere una realtà migliore di quella attuale. Ma penso anche che eravamo troppo pochi a desiderarlo.)

bi/sogni d'amore

lo sguardo del pubblico del teatro è massimamente erotizzante?
la comunicazione teatrale è massimamente erotica?
da qui viene l'infinito bisogno d'amore dell'attore?
che tipo di erotizzazione vive allora nella scrittura in rete?
lo scrittore letterario vive di uno sguardo erotico diverso nella relazione con il suo lettore?

domenica 31 gennaio 2010

decadenza assoluta

ciò che intendevo dire non era: squalifichiamo la tendenza diaristica.
piuttosto mi sembra che questa forma particolare di spazio bianco sia strutturalmente legata più alla scrittura dell'atto che all'atto della scrittura.
e se dovessimo spingerci dove baricco non si spinge mai, ossia nel next del reale, potrei addirittura dire che per me, che non sono una parte reale e attiva della rete - per indole e per deficienza da XX secolo - la pubblicazione in rete presenta uno spazio di decadenza assoluta, perciò legata a filo doppio col vissuto piuttosto che con l'evento.
ecco allora una domanda per me interessante: esiste qualcosa di scritto in rete che abbia mai davvero inciso sulla mia esperienza? tendo a rispondere con un no, anche pensandoci con amore.

ci può anche essere un corollario: michele - uno dei tre che scrivo in questo quadro - diceva che una cosa divertente è, conoscendo chi scrive, riconoscere chi scrive da che cosa scrive. non abbiamo ancora pensato a firmarci. non necessità di una reale intimità e di un'intima curiosità, fra noi. d'altra parte la questione dell'autorialità potrebbe essere legata con questa, presunta, decadenza assoluta?
so bene che ci sono cose che si possono leggere solo grazie alla rete, quindi può darsi che la domanda sia stupida, ma si tratta di accesso alle informazioni - rispetto alle quali credo che la rete sia insostituibile soprattutto per le immagini più che per la scrittura? - o si stratta di qualcosa d'altro? non si tratta forse di una qualità di produzione di esperienza che passa solo dalla scrittura solo quando la scrittura... fa che cosa?

strutture diaristiche

mi è venuto in mente di colpo.
si può trasgredire rispetto alla necessità diaristica della scrittura di un blog?
se sì, come?
è davvero lo stesso problema dell'inevitabile autobiografismo delle scrittura letteratura? è proprio la stessa cosa?
credo di no. perché però?
non è tanto una questione di oggetto o soggetto della scrittura. nemmeno di stile.
forse riguarda il punto di presa della scrittura, la sua necessità, appunto.
questo mi sembra lo spazio bianco adatto per scriverne. cominciamo da noi, anche perché immagino che mezzo spazio dei blog in rete parli più o meno di questo.
la domanda nasce in me dalla constatazione che la voglia di scrivere qui viene da una punta di spillo fissata un momento di più nel flusso incosciente del vissuto.

sabato 30 gennaio 2010

help!

Oggi mi è capitata una cosa piccola e strana.
Beh, strana, diciamo che è una cosa in cui sono già incappato altre volte, ma ogni volta mi lascia senza parole.
Per questo ne parlo, perchè quando succede io rimango senza parole. Quando succede pronuncio solo delle gran onomatopee e tiro su di sopracciglia.
La cosa è questa. Non fatevi illusioni, è proprio piccola.
Oggi sono andato da un cartolaio per stampare 25 pagine con immagini a colori. Proprio il cartolaio, perchè il sabato pomeriggio le copisterie sono chiuse, e i cartolai vanno alla grande.
Sono andato alla cartoleria Lo Scarabocchio. Ci sono andato a colpo sicuro perchè sapevo che lì stampavano da file, e io avevo il mio bel file sulla mia bella chiavetta.
Lo Scarabocchio è da sempre gestito da una coppia sposata. Lei piccola bionda ben proporzionata e con una riservatezza un po' parrocchiale, lui quasi calvo faccia tonda di gomma amante dei gilet e l'aria di uno che collezione modellini d'aerei.
Negli anni ci sarò andato una ventina di volte e sono sempre rimasto molto colpito dalla distinzione di cui fanno sfoggio, non so, come fossero una coppia di antiquari.
Ecco, per dire, adesso, ci sono questi posti - come Lo Scarabocchio - che magari ci vai spesso nel corso di una vita, ma non abbastanza da avviare la trasformazione da cliente ad amico.
La sensazione è quella di osservare, da fuori, un altro rullo del tempo. Tu ti ricordi di loro, ma capisci che loro non si ricordano di te. Allora l'effetto è quello del finestrino del treno: che quando passo dalle parti di Imola, appena dopo, c'è sempre una casa che riconosco e ogni volta noto un particolare in più o in meno, un cancello nuovo, la cassetta della posta cambiata, ma sono particolari troppo piccoli per cambiare l'essenza del quadro.
Un ritratto pressochè immutabile a cui un pittore invisibile aggiunge ogni volta un baffo, un orecchino, un collo di lana. Ma il ritratto, quello, alla fine rimane tale e quale.
E' banale: le persone che vediamo tutti i giorni, ai nostri occhi non cambiano mai.
Quelle che non vedi mai, quando le vedi, le vedi sempre raddoppiate. (Dimezzate è più raro)
Poi ci sono questi tizi che vedi a singhiozzo, che ti sembra di vedere quelle vecchie pellicole che scattano di cinque fotogrammi alla volta, TUC! TUC! TUC!, come se il tempo per loro non avanzasse in piano, ma rotolasse giù per le scale, e tu li vedi ogni volta che picchiano un gradino.
E' strano.
E' strano perchè te invece ti senti Lineare.

Comunque vado da Faccia di Gomma e gli consegno la chiavetta.
Gli dico che vorrei stampare su della carta un po' più spessa del normale, perchè vorrei che le foto venissero bene.
Cosa? mi risponde lui, senza alcun motivo per non aver capito o sentito.
Ma vengono bene? gli chiedo ancora.
Lui alza la testa come se non stesse aspettando altro.
Poi mi risponde così eccitato dall'orgoglio che tra una parola e l'alra ci mette una risatina: Eh! questa è una macchina - eh!- da quattordicimila euro (un po' biascicato) faccia lei!
Faccia lei?
Ecco è questa la cosa che ogni volta mi fa impazzire e ammutolire.
Faccia lei?
E che cos'è che dovrei fare io?
Perchè che cosa si dice o si fa in queste occasioni?
Dovrei arrendermi all'equazione costo=qualità e chinare il capo davanti alla cifra che lui ha speso per la sua macchina? Eppoi quanto costano di solito queste stampanti qui? Dovrei farmi dire il modello e poi correre a controllare le valutazioni di mercato per verificare il dato che mi ha comunicato? Sono tenuto a conoscere in anticipo il costo dei macchiari di stampa? E' un fatto notorio?
E comunque, posto che il costo esibito sia corretto, per quale motivo dovrei sbalordirmi? Devo pensare che non solo il denaro, ma anche la sola pretesa di una spesa vale come garanzia del risultato finale?
Ok, poi lo so, lo so, il senso banale del quesito.
Ma è proprio la sua formulazione, così netta, così stringente, così retoricamente mondana, imprescindibile, è questo che mi lascia secco. Anche perchè è una domanda retorica dannatamente subdola.
Perchè se fosse semplicemente una retorica potresti assentire, fare spallucce, tutto va bene.
Ma questa è una domanda che - almeno qui al nord - nasconde tutta un'esibizione di bicipiti. Quello che il cartolaio ha voluto dirmi non era solo costo=qualità, ma anche e soprattutto: IO ho speso 14milaeuro, IO sono uno che Spende 14milaeuro, IO e non tu, IO so quanto cazzo costano questi affari, costano uno sfracelo perchè sono macchine della madonna e IO COMPRO macchine della madonna. Hai capito?
Ecco, io rimango senza parole.
Anche se adesso penso che la prossima che uno mi dice la stessa cosa, gli rispondo: eh, lo so, io ho speso 7mila euro solo per rifare il bagno!
Alla fine l'uomo ha avviato la stampa, e non appena le foto sono cominciate a uscire, le ha prese in mano e per poco non sviene per l'emozione.
Guarda qui che roba, ha detto rivolto a me ma anche al negozio intero. Guarda che perfezione, ho stampato a 1200 dipiai!
Si è rivolto alla moglie: hai visto? 1200 dipiai! 1200! Adesso non mi tiene più nessuno! Ah, sì sì adesso non mi tiene più nessuno!
Mi è passato davanti, è andato da una cliente che guardava i biglietti d'auguri, le ha detto: Guardi un po' qui! Va che roba eh?
Belle, ha detto lei.
Come belle? Bellissime!
Sì sì bellissime!
1200 dipiai! Adesso non mi tengono più!
La cliente si volta verso di me: eh, adesso chi lo tiene?
In sottofondo un ritorello di Lady Gaga ha fatto: AH! AH!
Il cartolaio in perfetta sintonia intona: Oh! Oh!
Dopo aver fatto il giro del negozio mi consegna le foto. Le guardo.
Poi abbassa la voce - una cosa tra me e lui -: 1200 dipiai! Non lo avevo mai fatto. Non l'avevo mai spinta a 1200, non ho mai schiacciato quel tasto lì, non lo sapevo!

Appena prima di uscire ho sorpreso la moglie dietro il banco con lo sguardo perso nel vuoto.
Due tizi di RadioDeeJay annunciavano - per non so quale anniversario - i Beatles (!) con Help.
"Help! I need somebody, Help!..."
La cartolaia teneva lo sguardo fisso davanti a sè. Le mani, in un gesto automatico, si tormentavano la pellicina di un'unghia.
Ha mosso brevemente le labbra e con la consueta riservatezza ha sussurrato: Help...please...please...pleeeaaaseeeeee


è tutto rigorosamente vero.

venerdì 29 gennaio 2010

sullo spazio bianco

Non conosco Valeria Parrella e non ho letto i suoi libri, quindi non è di lei o della sua produzione che parlo.
Parlo invece dello Lo Spazio Bianco di francesca comencini e tratto da un romanzo della Parrella.
Il soggetto è interessante e volutamente - insistentemente - femminile, aggettivo di genere, semplice ma efficace.
Una madre single - per scelta o per destino, non è chiaro - ha una bambina nata prematura, costretta all'incubatrice per due mesi. Due mesi di sospensione in cui la madre vede - con i propri occhi - ciò che normalmente è celato: l'arcano della nascita e l'imponderabile del suo esito, felice e salvifico o infelice e tragico.
Il film sono i due mesi di attesa, il limbo, lo spazio bianco che la donna abita fuori e dentro di sè, in attesa di qualcosa che può accadere o scomparire per sempre.
La storia di un'assenza che attende il compiersi della presenza.
A questo punto immaginerete una poetica in sottrazione, la tensione dell'invisibile, dell'inpronunciabile, il fluttuante circo delle sillabe prima del comporsi della parola, del senso, l'amplificazione dei rumori di fondo, il volume dell'aria, la distanza della luce.
E invece no. Qualcuno deve aver detto che con la Buy questa storia si poteva fare, altrimenti niente da fare. Immagino. Oppure è stata la Buy a dire: questa storia la faccio io, questa storia è la mia storia. Chi lo sa.
Fatto sta che la Margherita Nazionale ci è entrata con tutta la carica nevrotica di cui è capace, un fuoco così scomposto e sguainato da corrodere la celluloide.
Mai si era visto un personaggio femminile così smarrito (non nel senso di ingenuo) e odioso (quando è difficile non tifare per una madre single, penso io), che rivendica per sè ogni inquadratura, ogni scorcio, ogni movimento di macchina. Tutto è dovuto alla sua instabilità, alla sua insicurezza, al cumulo notevole delle sue delusioni.
Il contorno, appunto, è contorno. Langue sullo sfondo.
I pochi uomini che circolano sono o inutili o stronzi. Oggetti di arredamento spermatico.
Ogni tanto la Comencini prova a giocare la carta della visione onirica, con le puerpere danzanti nella corsia. Ma è gioco piccolo piccolo, un po' ruffiano e un po' laboratoriale.
Rimane solo la scommessa sulla vita della piccola, ce la fa o no? La va o la spacca? E questo è l'elemento più presuntuoso e più tragicamente malizioso: imbastire sul terno al lotto di una vita la prestazione esasperata della protagonista/attrice (scrivo attrice perchè ad ogni lacrima o tiro di sigaretta la Buy sembra dirci: che, me lo date il premio?).
Certo è che se qualcuno domani dovesse chiedere all'attrice di spingere ancora sull'acceleratore della nevrosi ce la ritroveremmo sulle scene senza neanche il corpo, ma solo con un grumo di filamenti nervosi.
Penso che l'esercizio della sottrazione (così comune e fondamentale nel terzo teatro) si componga sempre di due fasi, due cose: mettere e rinunciare.
La prima riesce a tutti.
La seconda solo ad alcuni.

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A seguito, mi torna in mente una cosa.
Quando Kubrick girò Shining, Stephen King ne rimase al contempo affascinato e profondamente deluso.
Affascinato perchè Kub. con un solo film aveva riscritto i codici dell'horror.
Deluso (e incazzato, disse poi) perchè il senso della sua storia era stato del tutto stravolto.
Il protagonista della storia di King non era Jack Torrance (il mattino ha l'oro in bocca) bensì il luogo, la dimensione, l'Overlook Hotel. E poi nel film si capisce dalla prima inquadratura che jack Torrance è un pazzo maniaco.
E' pazzo ancora prima di impazzire, disse King.
Ma noi abbiamo Jack Nicholson, avrebbe risposto Kubrick.
Già.

P.S.
Quando ebbe fatto abbastanza successo e denaro, Stephen King riacquistò i diritti di Shining e fece rigirare un adattamento per la tv che fosse fedele al libro.
La gelosia degli scrittori.

cello_fan

nel bellissimo film opera prima di tom ford c'è una scena che mi è rimasta particolarmente impressa. e prima ancora che sapessi. prima che la connettessi con un fatto di cronaca. È quella in cui lui prova e riprova la posizione finale, scegliendo a un certo punto di distendere sotto di sé anche un cellophane. sul letto.
per non sporcare. per non disperdere se stesso post colpo. un'attenzione tipica dei suicidi, pare, di cui avevo già letto. come fosse sì, cura di sé, ma per e nel darsi la morte. ebbene ho letto pochi giorni fa che un tale, dopo aver ucciso la moglie e il figlio, inseguito dalla polizia, è tornato a casa (a casa), è andato sul balcone (sul balcone), ha steso del cellophane per terra (del cellophane per terra, a casa, sul balcone), ci si è sdraiato sopra (fuori sul balcone di casa sopra a del cellophane) e si è ucciso. era un a single man.

la secessione viennes colpisce ancora

i fatti sono semplici. come sempre, la potenza della realtà supera quella dell'immaginazione. il mondo è immaginazione in atto, altroché. insomma. il fatto è che l'esercito austriaco ha lanciato una campagna (sottolineo che tutti i termini legati al mondo della pubblicità attingono a piene mani dal mondo della guerra: slogan era l'urlo di comando con il quale si dava ordine di uscire dalla trincee per andare all'attacco, della vita propria) di reclutamento. Beh, lo spot ve lo lascio guardare e commentare da soli, nella sua straOrdinarietà (un'ordinarietà di livello superiore visti i tempi che corrono). Quello che però mi resterà per sempre scolpito nella testa è la seguente frase che ho letto nell'articolo annesso e connesso: "Il filmato è stato prodotto dal reparto marketing dell'esercito austriaco con il supporto degli studenti dell'accademia del cinema di Vienna". REPARTO MARKETING DELL'ESERCITO AUSTRIACO?! La cacania è tornata. saldamente al comando. una nuova era sta nascendo. n'era.

http://www.corriere.it/esteri/10_gennaio_28/burchia-austria-soldatesse-spot-sessista_2523092c-0c40-11df-8679-00144f02aabe.shtml

giovedì 28 gennaio 2010

Scampoli verbali

Gabriele Muccino, intervistato in occasione dell'uscita dell'ultimo film - sequel dell'ultimo bacio (che ultimo non era) - dichiara: "SONO MOLTO ENTUSIASTO!"
Anche me, lo sono.
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Ieri, su Repubblica.it, Leandro Palestini, nell'articolo sul debutto Rai di Noemi, riesce a infilare nella stessa frase un verbo e un sostantivo che da soli danno la misura delle cose. Dice, Palestini, che Noemi "scalpita" per entrare nella "scuderia" di Bibi Ballandi. Ecco, lo scalpitare - rumore di zoccoli, zampe ferrate, criniere al vento - e la scuderia - pavimento di pietra, odori di stallatico, staccionate e mandriani - inaugurano la nuova stagione dello zoomorfismo mediatico, quella equina appunto, lasciandoci ben sperare che tutto volga verso quel Classico a forma di domanda: Non si ammazzano così anche i cavalli?

mercoledì 27 gennaio 2010

io sono già legenda, di me stesso.

In principio c'era il Logos.
Il Logos si è fatto carne.
Gli gnostici lo scrissero nelle riflessioni copte di Hag Hammadi nel 150 dopo Cristo.
Da lì in poi è tutto un percorso a ritroso, un'Anabasi continua, o - se si vuole - un revival.

non ho capito

non ho capito l'esperimento, forse, ma più che altro credevo che ormai tutti sapessero già leggere nel pensiero. nel senso che tutti sempre leggono il pensiero, "nel senso". non c'è pensiero, poi sensi, poi senso. c'è pensiero nel senso, nel corpo della sensorialità. tutti leggono il pensiero, continuativamente. questo anche per i neurofisiologici più scaltri.
non c'è lettera senza pensiero. l'errore spesso sta nel pensare che siamo noi a pensare. questo noi è una metafora nel senso, del senso.
nel senso c'è del pensiero, ma così come non c'è soggetto, non c'è pensiero in un dove.
tutti leggono il pensiero anche degli altri, continuamente, altrimenti perché comunicare. c'è pensiero nel senso perché non ci si capisce mai fino in fondo. ecco perché si prende parte al pensare come qualcosa che non ci appartiene, qualcosa che è per lo più un'attività dell'inconscio. quel resto che non si capisce nemmeno di ciò che ognuno pensa di pensare è lì a testimoniare che c'è pensiero nel senso.
ma tutti leggono nel pensiero, no?

mito-gondry

leggo di questo esperimento ieri. le cavie sono due persone affette da epilessia motivo per cui sono stato dotate di uno sportello nel cranio. un cassetto, una credenza che si apre a piacere al fine di. Di? Di poter inserire gli elettrodi direttamente a contatto con la corteccia cerebrale al fine che attechiscano meglio. Lo scopo è quello di monitorare con la massima precione possibile il funzionamento del loro cervello durante gli attacchi. L'encefalogramma così partorito resta poi come traccia mnemonica di quanto è accaduto. L'esperimento però non questo. È un altro. A dir poco sorprendente. Sì, perché a queste due persone, sfruttando il loro sportello craniale, è stato chiesto di leggere delle lettere, singole, scritte delle lavagne. Dovevano farlo mentalmente. E con la macchina deputata a far loro un encefalogramma in azione. Un computer ad essa connessa poi non faceva altro che leggere i diagrammi che comparivano (avete presente i grafici dei sismografi? ecco, quelli) e tradurli. In lettere. Le stesse che loro pensavano, così come l'esperimento ha dimostrato. Le medesime venivano infatti proiettate su due schermi. di fronte agli, attoniti, epilettici. L'idea insomma trova conferma che all'interno di quella wwwww impazzita vi siano esattamente tutte le informazioni mentali da noi elaborate. Un domani, dicono gli scienziati, potremmo quindi da un encefalogramma risalire ai pensieri in atto, alle parole usate e chissà mai i sentimenti, i colori, le emozioni. la lettura della mente diventerà quindi forse un domani un fatto puramente elettrico-tecnico. da periti. altro che da universitari. tantomeno da scienziati. in parallelo riporto l'idea di un celebre neuroscienziato secondo cui non è vero che non si pianga perché si prova dolore, ma si prova dolore perché si piange. io queste due notizie continuo a metterle in relazione senza riuscire in alcuno modo a risalire alla stessa. sono un encefalogramma piatto o un sentimento senza atto?

cannibali

i cannibali non ci sono più. nemmeno come scrittori, nemmeno in italia. forse anche questo è un frutto del decadente successo dei c.s.i. di varia fattura.
ci sono adesso, sono sulla bocca di tutti, i vampiri.
tutti sembrano molto informati sull'argomento, molti sembrano poter rivelare ai conoscenti che avevano questa passione per i vampiri da tanto tempo e finalmente ecc.
ci sono già state molte interpretazioni del successo di "questi" vampiri.
vampiri come supereroi, amorosi, con una nostalgia per la vita che può dormire da straziare anche un koala.
ieri su mtv un format che fa la classifica delle coppie più hot del momento metteva al primo posto i due protagonisti, che negano di stare insieme nella vita, del film twilight, con lui con la faccia da cortisone e lei con la lasciva melopea della teen schiokkapatta dei serial usa che mediaset manda nel primo pomeriggio che vengono premiati al golden globe per il bacio cinematografico più bollente.
questo passa il convento, perché è di confraternita che si tratta, sulla base del consumo. ma per completare il quadro, non svedese, è necessario anche e soprattutto confrontare la propria autorappresentazione con il luogo diciamo "letterario" dell'essere-sentirsi vampiri.
aggiungo solo una cosa, su quel negativo che il cinema non sviluppa più da quando siamo tutti digitali. nel momento in cui la crisi economica e sociale tocca la vita concreta di tutti, perfino dei dentisti e degli piscoanalisti, la narrazione che ci tocca suggerisce che l'amore sconfigge la voglia di succhiare il sangue all'altro.
ci sono altri personaggi sulla scena? io vedo ancora e solo superman e king kong in questi lupetti da mtv awards. con l'aggiunta di una versione allopatica post-hiv, in cui scopare furiosamente come si vorrebbe annullerebbe i nostri superpoteri più che la vita, nostra e dell'altro.
beh, vedo altri due protagonisti del vampirismo più attuale, una coppia che si osserva con vergogna e si scopre a pensare: a chi di noi due arriverà stamattina la lettera di licenziamento?

martedì 26 gennaio 2010

dentro le stanze del potere

Oggi sono stato al palazzo della regione.
Da non confondersi con il palazzo della ragione, che è dove fanno le mostre. No, la regione, proprio la regione.
Non ci ero mai stato.
Chiaro, è solo su invito.
Oggi avevo l'invito.
All'inizio, entrare è come entrare all'aereoporto. C'è una scatola di vetro dove ci sono dietro due persone, una donna piccola e un uomo col naso lungo e vestito di scuro che pare Totò. Per la verità non so se è vestito sempre di scuro, ma dalla faccia direi di sì, sapete una di quelle facce che stanno bene in scuro. Ho pensato che era vestito da psicologo.
La donna piccola mi ha chiesto la carta di identità, poi ha guardato un foglio con su dei nomi scritti col pennarello, alcuni gialli altri azzurro stinto, non so perchè. Poi ha detto il mio nome a Totò e Totò lo ha battuto su una tastiera. Come Totò lo ha scritto, con il solo dito indice bello teso. Ogni tanto tornava indietro di uno a cancellare.
E' stata una procedura lunga. Però sono stati gentili.
Sembravano degli zii che giocano a prendere le generalità ai nipoti, quel genere di famigliarità lì. Per dire, si sono anche scusati che Totò batteva con un dito solo.
Questa macchina! ha detto a un certo punto sbuffando.
Eh, maledette macchine, ho detto io, per dire che lo capivo benissimo. Hanno sorriso.
Poi mi hanno detto può andare.
Allora sono passato sotto a un arco che c'è il metal detector. Lì ci sono altri due uomini.
C'è un tizio di 150 chili che sembra la guardia buona dei film americani. Vestito da dio con una tuta d'ordinanza blu, lo sfollagente, il cappellino con la visiera e un'aria realizzata.
Si vedeva che stava bene in quell'atrio lì, con quella tuta lì. Non la smetteva più sorridermi.
Poi ho messo la borsa su un rullo e un altro tizio con la testa china ha azionato la macchina l'ha fatta passare ha detto può andare.
Anche per oggi niente bombe, ho detto, ero di buon umore.
E' il nostro lavoro, mi ha sorriso la guardia.
Si vedeva proprio che gli piaceva quel lavoro lì. Come dargli torto.
Sono salito al secondo piano.
C'era un corridoio che sembrava di essere in un bell'asilo. Un'aria! Tutta gente allegra che chiacchierava. C'era in corso una conversazione sui saldi, su delle scarpe in corso bueno aires che erano dei veri affari. Bellissime, dicevano.
Il corridoio comunista è tutto una festa di adesivi di locandine di gonfaloni. Mancava solo quello che ti spilla la birra al banco.
Il corridoio comunista è diviso da una porta a vetri dal corridoio della Lega. Non puoi sbagliare, sulle porte ci sono due adesvi della padania grandi come divieti stradali. Non ti viene voglia di aprirla.
Poi sono entrato dal consigliere regionale. Dietro la scrivania c'era un enorme striscione colorato a spray con scritto DAX.
E' un appassionato di vampiri, il consigliere.
Mica lo sapevo. Quaranta minuti buoni a parlare di vampiri, da nosferatu in su, o in giù.
Anche Twilight ho visto, ha detto, non è male. New moon invece è una cagata, la fine non è male, ma il resto è un cagata, è per ragazzine, mi ha detto. C'è un ragazzo palestrato che si spoglia, che diventa lupo, le ragazzine urlano, una roba così. Ma la fine non è male.
Poi è arrivato un pacco per il consigliere.
Mi ha detto: puoi aspettare un attimo?
Io: ci mancherebbe. Non avevo altro da fare.
Ha guardato il pacco, ha strabuzzato gli occhi, gli venuta un'eccitazione.
Mi ha detto: mi devi fare un applauso.
Mi sono alzato in piedi. Sono pronto, ho detto.
Ha scartato l'involucro, e con un po' di enfasi mi ha mostrato la sorpresa.
Quattro mosche sul velluto grigio! ha detto. Guarda qui.
Era Quattro mosche sul velluto grigio, il dvd del film, aveva ragione.
Questo è l'unico film di Dario Argento che non si trova in dvd, in Italia, ha detto. L'ho fatto venire dalla Spagna! In questo momento sono l'unico in Italia ad averlo!
Ho detto: bellissimo!
Io dico sempre bellissimo, è come un tic.
Mi ha detto: a casa ho 276 film horror. Ma 200 li potrei anche buttare.
Eh ma è collezionismo, ho detto io.
Appunto, ha detto lui.
Poi, tra un film e l'altro si è fatto tardi.
Adesso vado a casa a mangiare, mi ha detto. Lo ha detto anche agli altri. Però ha anche detto che nel pomeriggio tornava.
Nell'altra stanza stavano parlando di un film molto bello, L'altro uomo, se non sbaglio il titolo.
Però a quel punto anch'io era meglio se andavo a casa.
Per scendere volevo prendere l'ascensore ma era sempre occupato. Ogni tanto arrivava, si apriva, era pieno di facce che mi guardavano.
E' meglio se scendi a piedi, se no devi stare schiacciato con quelli del Pdl, mi hanno suggerito i compagni.
Son sceso a piedi. In fondo erano solo due piani.
Mentre scendevo qualcuno diceva: certo che è proprio un fighetto Formigoni!
E subito un'altra voce: un vero fighetto!
All'ingresso mi hanno salutato tutti.
Una gentilezza!

vado al lavoro

ieri mattina sono stato svegliato da una notizia bellissima: Vendola in puglia aveva preso il 73% spazzando via l'arroganza di D'alema. è stata una sorpresa perché a 36 anni mi sono già brutalmente abituato a vedere umiliate le mie speranze di elettore da decisioni che ormai non riesco più nemmeno a pensare raffinate e strategiche e incomprensibili per me che non capisco molto di politica attiva, delle sue necessità, delle sue questioni di sostanza che mettono nell'angolo le mie superficiali visioni del quadro svedese complessivo.
ieri sera io e la donna che amo eravamo lì, a fianco sul divano, e insieme abbiamo aspettato Vendola all'Infedele di Lerner. Chi ci sarà con lui in diretta? dicevamo.
c'erano Latorre, al posto di D'alema o Bersani, Tatarella, la destra nobile pugliese, Sallusti, direttore di Libero mi pare, la direttrice della Gazzetta del Mezzogiorno (non ricordo il cognome mi spiace - ora spiego perché non lo cerco su internet), Pesole, una ricercatrice che rappresentava i gender studies e il pensiero delle donne, Cassano, "non antonio" - mentre lerner fa la battuta sulla schermo dietro appare il talento della samp - ma il sociologo della questione meridiana che malagevolmente cercato di attualizzare quella meridionale, e poi? due scrittori. il livello da cui parte di solito lerner, bisogna dirlo, è più ambizioso di solito di quello da cui partono le altre trasmissioni comparabili alla sua.
due scrittori. Carofiglio, sellerio, e Lagioia, einaudi. le attribuzioni editrici sono date come presentazione dallo stesso lerner. mi pare entrambi pugliesi.
ora cercherò di segnare qui, nel corpo di questa mattina cosa trattengo ora di quel che ho visto e sentito ieri, ecco perché non cerco il nome della direttrice della Gazzetta del mezzogiorno, che avevo già visto da lerner un'altra sera perché ha scritto il libro con e della Daddario, però proprio non mi rimane in mente il nome, mi spiace.
bene, vediamo o meglio rivediamo.
vendola apre citando la connessione sentimentale tra la politica e i sogetti politici di gramsci. bello.
carofiglio: Lao Tze, il bruco crede che sia la fine del mondo e invece il resto del mondo la chiama farfalla, riferito alla piccola metamorfosi, lo spiega lerner, che potrebbe rappresentare vendola per i morti viventi e silenti del pd.
tatarella non dice nulla, credo sia stato invitato per via del fratello pinuccio che, ci spiega vendola ha creato un linguaggio politico in puglia che ha cambaito il modo di autorappresentarsi dei pugliesi.
sallusti dice sempre noi come sinonimo di popolo della libertà e tenta di dire sempre la stessa cosa: la gente vuole berlussconi più di tutti gli altri e poi si accende contro carofiglio dicendogli: lei viene qui a impartirci lezioni di etica?! e carofiglio torvo: è necessario in certi casi prendere lezioni di etica! (le due frasi vengono rispettivamente ripetute almeno cinque volte sperando nel favore delle telecamere che sembrano sorde, si sa.
lagioia conclude un intervento intermittente dicendo che la questione è che berluska è rimasto a donna rachele, tutti ridono e apprezzano la battuta.
pesole dice almeno tre volte che essere velina segna e modellizza un orizzonte di affermazione sociale condiviso.
e poi una conclusione avatar: lerner dice noi siamo in diretta ma da questo momento in poi ci sarà ubiquità perché se girate su vespa ci sono sia vendola che latorre in questo stesso momento del palinsesto. vespa è registrato.
vendola e latorre si giustificano e dicono che questa incontinenza televisiva, così dice lerner, non fa bene alla politica, vendola dice non lo faccio più, testuale. lerner dice non facciamo qui scene di gelosia, testuale.
latorre è stata una giornata difficile e speciale e non c'erano altri che volevano metterci la faccia, quasi testuale.
io lì per lì non capisco. non è la prima volta però, però stamattina;
stamattina penso: anche quando sei felice e ti senti riscattato, come la mattina che mi sono alzato e ho visto e sentito dentro di me che vendola aveva vinto e che io avevo vinto qualcosa dentro di me, la mia progressiva voglia di ritirarmi, un entusiasmo che spariglia le convenienze, beh la sera con quel tocco finale ubiquo, senza nulla togliere a nessuno, la procedura del palinsesto nella sua relazione con la realtà dei fatti della comunità in cui vivo diceva: la politica è sempre da un'altra parte. 
vado al lavoro.












  

lunedì 25 gennaio 2010

ciak si sposi

pare che oramai chi si sposa, anziché inviare il classico invito, giri un trailer. e lo posti. su youtube ce ne sono a pacchi.

http://tv.repubblica.it/copertina/un-trailer-per-le-nozze/41717?video

tutto questo bisogno di spettacolarizzare il tutto, tutto questa visibilità esibita, ricercata, sfoggiata mi sgomenta. mi domandavo: esiste un modo di fissare il mio volto per sempre senza che il tempo in cui vivo si manifesti? Esiste un taglio neutro dei capelli? una luce che sia al di là di ogni tecnica. perché se sì, fisserei il mio matrimonio così. fuori dalla pubblicità di ogni tempo.

domenica 24 gennaio 2010

una questione del tutto privata

Non voglio trasformare questo luogo in un pretesto diaristico.
Ma oggi è stata una giornata particolare.


Mia zia Laura è stata trasportata in un centro di accoglienza per malati terminali. Sta a Cologno, questo centro, vicino all’uscita della tangenziale est. Accanto alla struttura c’è un’enorme buca, come se fosse caduto un meteorite. Ho chiesto cosa fosse e un tizio mi ha detto: hanno tirato su una cascina. Così: hanno tirato su una cascina. Come se fosse normale che le cascine le tirano su e giù a piacimento.
Mia zia dal letto fissa quel buco fuori dalla finestra. Non ha scelta, il buco ingombra tutto il suo campo visivo. Io gli ho detto che devono farci una piscina, che la riempiranno d’acqua, e che tra un po’ vedrà tutto azzurro e la gente che fa il bagno. L’ho detto così, senza pensarci. Non riuscivo a dirle che avevano tirato su una cascina.
Attorno alla struttura ci sono anche un mucchio di conigli neri. Sono conigli nani, mi hanno detto, di quelli che si tengono negli appartamenti. Anche questo come fosse normale, che i conigli da appartamento vengano fatti razziare all’aperto.
Mah. Sarà che in questi centri puoi farci di tutto, che le persone sono così occupate dal loro dolore che non c’è più spazio né per lo stupore né per il senso.
Ho scoperto che mia zia Laura si chiama Maria. L’ho letto sulla flebo: Maria. Cristo! La conosco da quando sono nato! Ho chiesto a mia madre: ma non si chiama Laura? No, Maria, Laura è il secondo nome.
Non me l’aveva mai detto nessuno. Me l’ha detto oggi la flebo.
Poi a un certo punto, nella stanza faceva un caldo infernale, non so, a un certo punto mi è venuto da sbadigliare. Ho incrociato lo sguardo di mia zia, mi stava guardando.
Mi sono vergognato come un ladro.
Per la prima volta mi sono accorto che in uno sbadiglio c’è una tale quantità di vita da risultare insopportabile. Indecente.
Quel gesto piccolo e silenzioso, lì dentro, è risuonato tra le pareti come un urlo.

una risata ci ha seppelliti. ed eravamo vivi.

Lo scorso anno vidi la prima puntata dello show di Fiorello su Sky uno.
Nella prima puntata l'intrattenitore fece un monologo in cui raccontava ironicamente il suo passaggio alla tv di Murdoch, tralasciando accuratamente di menzionare le motivazioni economiche dell'affare. Vabbè.
Comunque in questo monologo l'intrattenitore raccontava del suo incontro con Berlusconi - era prima dell'epopea del Papi - e di come B. lo avesse ricevuto a palazzo Grazioli per dissuaderlo della sua decisione.
Nel racconto, Silvio vede Fiorello, gli si fa incontro e lo saluta dicendogli: "vecchio puttaniere!". A quel punto Fiorello sorride, fa una pausa e si volta verso il pubblico ammiccando, come a dire: Ma come?! ma anche: Ehi mi ha beccato!
Il pubblico,tutto, ride di gusto.
Quella era una risata di complicità, una sgomitata da caserma, da spogliatoio maschile.
Voleva dire, il pubblico: vai Fiorello! Come è perdonabile, come è comprensibile, com'è cool essere puttanieri! Siamo con te!
Anche lo donne, valle a capire, ridevano. Di gusto, ridevano.
Ecco, secondo me, quando quel pubblico ha riso, ha preso una decisione. Ha fatto una scelta precisa.
Quella battuta - che non aveva nulla di comico - era la strada scelta da questo paese.
Quella di un tragico varietà.
Ce ne saremmo accorti subito dopo.

una piccola nota a margine, sui libri.

Un po’ di tempo fa Eco scriveva che i libri sono più attuali di molta tecnologia avanzata, in quanto non richiedono fonti di energia, possono leggersi in qualunque posizione, offrono una irriproducibile esperienza tattile e godono di un’altissima portabilità. Per questi motivi, scriveva Eco, i libri sopravviveranno alle rivoluzioni informatiche che cercheranno di detronizzarli.
Eco scriveva queste parole non tanti anni fa ma comunque molti in termini di evoluzione tecnologica. Oggi, l’e-ink - l’inchiostro elettronico - e la presenza sul mercato dei dispositivi di lettura ultra leggeri, ultra portatili, alimentati a energia solare, collegati al web e dotati di schermi che garantiscono un’ esperienza di lettura cartacea, sembrerebbe mettere in dubbio la profezia del buon vecchio Professore. Senza contare che il 26 gennaio Apple mostrerà al mondo il suo nuovo dispositivo - un tablet pc - che promette di diventare per la lettura quello che l’ipod è stato per la musica. Mah. Chissà.
Ma a me pare, come dicevi tu, che i libri non siano in lizza per una gara prestazionale. Qui non si tratta di misurare chi ce l’ha più veloce, più leggero, più portatile o più semplicemente più.
Quando si parla di queste faccenda - la morte del libro - non si parla mai di come la scrittura sia un’azione fortemente corporea, di come il corpo del carattere si sovrapponga al carattere del corpo che lo scrive, di come il carattere - che ha nel suo etimo l’erpice dell’aratro - sia il risultato di un solco, di un segno lasciato, di un primitivo alfabeto tatuato sul dorso del pianeta. Questo senza parlare dell’erotismo che il corpo - qualsiasi corpo - scatena.
L’oggetto libro è l’avatar - tanto per fare attualità - di due entità corporee precise. Quella dell’autore in quanto corpo-codice della sua scrittura, e quella del lettore in quanto la carta assorbe le impronte di ogni passaggio di lettura, modificandosi ogni volta che il lettore ripercorre il filo genetico della memoria dell’autore.
I libri sono una pluralità di corpi. Le biblioteche sono folle di genti.
Un lettore di ebook è un vuoto pieno di infinite promesse.
E quante volte abbiamo aperto un libro perchè incuriositi da quella costa che spuntava dalla libreria? Quante volte abbiamo scelto perchè osservati?
I libri si ricordano di noi. Se noi li dimentichiamo saremo presto orfani, ma non di qualcosa - cosa sopportabile - bensì di qualcuno.

buttare i libri

ieri sera un mio amico guardandosi intorno dice: "ma butta 'sti libri, dai. lo sai che c'è un telefono che puoi comprare dove puoi avere tutti 'sti libri in un paio di click?".
non ci sono cascato. il mio amico fa i siti per aziende di moda, attori, attrici - più spesso - grandi nomi del mondo governato dal mercato. il mio amico è colto ma lavora su un understatement un po' newyorker un po' hinterland milanese che gli consente di ascoltare manicalmente battisti per mesi. solo battisti.
non ho risposto altro che: "lo so, ma io ci lavoro, questo non vale per me. io non ce la faccio."
morta lì.
però poi stamattina ripensavo ad un altro mio amico che ama più di me i libri, gli oggetti intendo. ne compra d bellissimi, spesso di nascosto dalla donna che ama, perché la loro casa è piccola e lui ama soprattutto gli illustrati e i fuori formato d'epoca. lui mi ha giustamente ricordato un pomeriggio in metropolitana che il libro rimane rispetto a ogni supporto elettronico e nano tecnologia la cosa più compatibile con noi, il nostro corpo, i nostri occhi, la nostra mente.
è vero, penso stamattina e poi penso anche che in tutti i serial crimes quando l'esperta deve capire qualcosa di difficile che mette diversissime informazioni in relazione ha almeno tre schermi sulla sua scrivania.
e ho pensato che quando deve trovare relazioni nuove, emozionanti, tracce appassionanti nella realtà che vivo immergendomi nella realtà dei libri che leggo, che studio, c'è qualcosa che alle elementari mi hanno detto valeva per i vangeli che ancora segna i momenti più belli della mia relazione con i libri. una cosa che si chiama lettura sinottica. una lettura che rispetto a quella confessionale però non ricerca solo le orizzontali ma soprattutto le diagonali, come sul quadro svedese.

venerdì 22 gennaio 2010

celtico

ho notato questo fatto curioso. la musica che accompagna le previsioni del tempo della regione lombardia su rai3 è una composizione di forte sapore celtico, fatta con suoni credo sintetizzati. quasi sempre al momento dei venti il palinsesto incalza e sono rare le volte in cui si sente il trionfo delle arpe e dei cembali, ma il crescendo è degno del miglior wagner del Po che musica le fiction da Giussano.
Ciò che mi ha colpito molto è però che la stessa musica fa da sottofondo anche ad altre previsioni regionali di altre regioni italiane, come emilia e lazio.

f.